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Queste preziose descrizioni parlano di emozioni semplici e sincere durante una selezione di nostri viaggi, vicini e lontani, organizzati in prima persona. Le stesse destinazioni, con relativi approfondimenti fotografici, letterali, culturali, sono spunto di riflessione comunitaria durante le nostre serate di presentazione che condividiamo con tutti. Segui il nostro calendario appuntamenti e… buona lettura!

IL SUO NOME E’ GIOTTO, PUNTO E BASTA di Alice Cavatton – febbraio 2018

Il suo nome è Giotto, punto e basta.
A Padova ha sicuramente dato il meglio di sé, con la decorazione della cappella Scrovegni, che ancora oggi costituisce un vanto per la città, per i padovani e per il mondo intero. Tuttavia non tutti sanno perché l’artista fiorentino abbia scelto proprio Padova per rivoluzionare il mondo dell’arte e il linguaggio artistico del Trecento.

Giotto arriva a Padova all’età di 36 anni. E’ un artista già stimato e di successo, nel pieno della sua attività artistica e con un curriculum di tutto rispetto. Aveva già lasciato il suo segno sia a Rimini che a Firenze, ma soprattutto ad Assisi con il ciclo di affreschi nella rinomata Basilica dedicata a San Francesco.
Destinato ad occupare un posto di rilievo nel settore del tessile, per volontà paterna, sviluppa invece le sue doti nel campo artistico entrando presto in contatto con Cimabue. Nell’Arco di circa 20 anni lo troveremo a capo di una bottega con numerosi allievi, dove lui supervisiona il lavoro d’insieme, occupandosi principalmente di seguire il progetto generale, l’impianto dei lavori.
La Padova di inizio Trecento è un libero Comune ( la dinastia dei Carraresi occuperà la scena politica solo più tardi, a partire dal 1318), con una forte connotazione religiosa grazie alla predicazione di Sant’Antonio e ad una forte presenza benedettina. Senza dimenticare però la nuova borghesia che approfitta del boom economico per consolidare il proprio potere e le proprie ricchezze. Enrico Scrovegni rappresenta perfettamente questi ideali: grazie all’attività creditizia del padre Rainaldo, diventa presto capostipite di grandissime fortune e proprietà, abile tessitore di relazioni diplomatiche con le più grandi famiglie nobiliari dell’epoca, ma anche con il clero di Padova. Basti pensare che nel 1304 ai visitatori della Cappella di Santa Maria della Natività verrà concessa addirittura l’indulgenza plenaria!

Nel 1303, cantiere appena concluso, lo Scrovegni si concentra sul lato artistico del suo investimento e, consapevole dell’importanza di ogni sua azione per potenziare l’avanzamento sociale della sua figura nonché la gloria della sua famiglia, contatta il migliore artista del momento: Giotto appunto, peraltro già presente in città su invito dei Frati Minori conventuali di Sant’Antonio. Come dire: due piccioni con una fava! Approfittando della sua presenza in città lo Scrovegni gli commissiona il suo miglior affare! D’altronde, chi si ricorderebbe di Enrico Scrovegni se non fosse per la Cappella affrescata da Giotto?

Con l’artista fiorentino nasce una pittura nuova, capace di comunicare emozioni e di narrare, attraverso la Storia di Cristo, la storia dell’Uomo stesso. Giotto introduce infatti un nuovo modo di narrare: l’evento sacro, liberatosi da alcune caratteristiche di stampo bizantino, viene interpretato in forme realistiche concrete, rinnovando il suo messaggio di fede. Un altro tratto distintivo della pittura giottesca è l’umanizzazione del divino in quanto le vicende sacre narrate nei registri di sviluppano su un piano del tutto affine a quello della vita quotidiana. Il dramma della salvezza diventa umanissimo, i gesti sono immediati e naturali, ma anche la riproduzione dei luoghi, dei costumi e delle usanze è consona al tempo coevo.
Il Trecento, il secolo d’oro della pittura, si apre a Padova quindi con gli interventi di Giotto nella Basilica di Sant’Antonio, nella Cappella di Enrico Scrovegni e nel Palazzo della Ragione. La sua opera diventa un punto di riferimento per la produzione successiva di pittori quali Pietro e Giuliano da Rimini, Guariento, Altichiero da Zevio e Giusto de’ Menabuoi che riconoscono nel maestro fiorentino il fondatore di un nuovo linguaggio pittorico. Il secolo si chiude con la significativa impresa pittorica di Jacopo da Verona, attivo nell’Oratorio di San Michele. L’itinerario storico – artistico qui segue l’evoluzione stilistica e sociale di una città medievale in continuo fermento culturale, con un governo municipale efficiente, lungimirante e un’università rinomata. Ciò concorre a fare di Padova la “ città dell’affresco” , l’urbs-picta che oggi si candida a diventare, proprio grazie ai suoi affreschi, un nuovo Patrimonio Unesco dell’Umanità

TRE BUONI MOTIVI PER INNAMORARSI DI VICENZA GRAZIE A VAN GOGH di Alice Cavatton – ottobre 2017

E’ stata inaugurata sabato 7 ottobre, nella Basilica Palladiana di Vicenza, la mostra “Van Gogh, tra il grano e il cielo”. Le 129 opere esposte (ben 43 dipinti e più di 80 disegni) delineano l’intero percorso artistico di Vincent Van Gogh, dal tempo della sua formazione in Belgio, nella regione del Borinage, fino alle famose tele con i campi di grano realizzate ad Auvers-sur-Oise, nel luglio del 1890, poco prima della sua morte prematura.
La grande mostra monografica ci permette di entrare nell’animo di uno degli artisti più tormentati del post-impressionismo, grazie ad un “viaggio” nell’universo Van Gogh reso possibile non solo attraverso le sue opere, ma anche le numerose lettere che scriveva all’amato fratello Theo.
Attraverso le opere Van Gogh riesce a raccontare la realtà che lo circonda, arrivando ad uno studio introspettivo, quasi intimo, sui soggetti, svelandone infine l’anima. Dall’Olanda si arriva agli anni della Francia e della definitiva consacrazione di Van Gogh passando per Neuen, il Drente, Parigi ed infine Arles nel sud della Francia, dove “esploderà” il colore nei suoi dipinti.
Per tutti gli appassionati di Van Gogh quindi, visitare la mostra equivale a entrare nelle stanze segrete del maestro, ammirando l’evoluzione sia artistica che biografica. Non solo, in quanto l’occasione della mostra monografica del pittore olandese ci catapulta in una cittadina veneta che è “perla del Rinascimento” per definizione, la cui visita vale molti perché. Vediamo insieme i tre buoni motivi per innamorarsi di Vicenza.

Vicenza la città che non ti aspetti
È una città che non ti aspetti, Vicenza. Troppo spesso considerata di passaggio per i viaggiatori che prediligono le altre meraviglie venete, questo piccolo centro, adagiato ai piedi dei Monti Berici e attraversato da due fiumi, è invece un gioiello. Un vero e proprio museo a cielo aperto grazie ai capolavori del Palladio, il genio rinascimentale che ha tracciato la storia dell’architettura dei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Edifici meravigliosi, che “riempiono gli occhi e appagano lo spirito”, come scriveva Goethe nel suo “Viaggio in Italia”.

Vicenza patrimonio Unesco
Andrea Palladio ce offre molte ragioni per spingersi nella città berica, addirittura 39: questo è infatti il numero delle opere palladiane tutelate dall’Unesco presenti in città e nei dintorni. Nel 1994 Vicenza è stata inserita nella lista dei beni “patrimonio dell’umanità” con i suoi ventitré monumenti palladiani del centro storico e tre ville site al di fuori dell’antica cinta muraria, pure realizzate dal famoso architetto. La città del Palladio rappresenta un capolavoro del genio creativo umano la cui opera è fondata su uno studio approfondito dell’architettura romana classica, che ebbe un’influenza decisiva sull’evoluzione dell’architettura. Il suo lavoro ha ispirato uno stile architettonico caratteristico (lo stile palladiano) che si è successivamente diffuso in Europa e nell’America del Nord. Nel 1996 il riconoscimento dell’UNESCO è stato esteso fino a includere anche le ville del Palladio dell’intero territorio provinciale. Vicenza è quindi città del Palladio perché l’una, senza l’altro, non esiste e l’altro ha lasciato in questo territorio, nonostante abbia lavorato anche in altre province, la più alta concentrazione dei suoi mirabili capolavori.

Città da scoprire camminando, sulle orme del Palladio
Vicenza si svela nella sua eleganza soprattutto attraverso un itinerario a piedi lungo Corso Palladio, la via principale del centro storico di Vicenza, antico decumano della Vicenza romana, e Piazza dei Signori, il salotto della città. Il nostro itinerario parte da Piazza Matteotti dove incontriamo il Teatro Olimpico, straordinaria e lungimirante opera di Andrea Palladio eretta sulle strutture delle antiche prigioni del Castello orientale. Il teatro venne progettato dal maestro pochi mesi prima della sua morte, nel 1580, per la rappresentazione dell’Accademia degli olimpici ed è continuato poi sulla base dei disegni paterni dal figlio Silla che lo portò a termine nel 1583. A sinistra del Teatro Olimpico la nostra vista è attratta da Palazzo Chiericati, sede oggi del Museo civico e della Pinacoteca, superba e innovativa residenza progettata da Palladio per Girolamo Chiericati, nobile vicentino, proprio alle porte della città. Qui infatti in età rinascimentale vi era l’antico porto fluviale di Vicenza. Continuando il nostro itinerario lungo Corso Palladio ammiriamo Casa Cogollo e poco lontano, lungo Contrà Porti, Palazzo Barbaran da Porto e Palazzo Thiene e la Chiesa di Santa Corona con il famoso Battesimo di Cristo del Bellini. Su piazza dei Signori il nostro sguardo è colpito dalla Basilica palladiana, monumento-simbolo di Vicenza con le sue logge palladiane che avvolgono l’antico Palazzo della Ragione d’età comunale, ma anche il Palazzo del Capitanio,, la Torre Bissara, Torre civica di 82 metri.
Se dopo questa passeggiata siete convinti anche voi che sono più di tre i motivi per innamorarsi di Vicenza e volete scoprire i mille volti di questa città, contattateci per un tour personalizzato.

DESTINAZIONE ABRUZZO di Alice Cavatton – agosto 2017

C’è chi ha la fortuna di dedicare molto tempo alle vacanze estive e chi, come me, ha poco tempo da dedicare al relax. Ma se la meta è il mare d’Abruzzo, anche un breve weekend può trasformarsi in sollievo dell’anima. E degli occhi. Destinazione Abruzzo è stato il mio mantra nell’estate dei selfie: virtualmente mi ci ha portato lì un appassionato blogger locale, talmente innamorato dei suoi luoghi di nascita da dedicarci un intero sito. Fu amore a prima vista anche per me, in questa terra “selvaggia” tra pastori transumanti e bandiere blu, tra i sapori e i colori dell’estate.

DA SAN VITO CHIETINO A FOCCACESIA: L’ITINERARIO DANNUNZIANO

Per chi volesse dunque visitare con occhio romantico la Costa dei Trabocchi abbruzzese, troverà un’eccellente guida in molte opere di Gabriele D’annunzio. Egli, nato a Pescara dove ancora si può visitare la casa e il Palazzo del Governo, ricordò più volte nelle sue poesie la bellezza del mare Adriatico ed ambientò a San Vito Chietino anche una delle sue opere più celebri, il Trionfo della Morte (1894). Il rapporto intrinseco tra questa terra e il poeta si concretizza anche in monumento, in luogo di visita, perché a San Vito Chietino si può salire fino al Promontorio Dannunziano, un belvedere di grande suggestione ed impatto, nonché grande esercizio di “memoria storica” da consegnare alle future generazioni. Dal promontorio si può scendere a piedi verso Calata turchino, che rappresenta anche il nostro primo incontro con i “trabocchi”, imponenti macchine per la pesca interamente costruite in legno, alcune  ancora in attività, altre riconvertite a ristorante dove mangiare “sospesi” sul mare. Questi grandi “ragni marini” sono l’evoluzione di un’antica pratica di pesca. Narra infatti la leggenda che a partire dal XVII secolo, alcuni gruppi di immigrati ebrei si stabilirono lungo costa ma essendo inabili alla navigazione elaborarono raffinati sistemi di pesca dalla costa, fra cui, appunto, il trabocco: una piattaforma sospesa, collegata alla terraferma da una lunga passerella, con grandi reti a bilanciere. Da sempre sono loro i custodi di questo distesa blu intenso: un mare tanto bello da conquistarsi ben 6 bandiere blu nel 2017 (Foccacesia Marina, Punta Penna, San Salvo, Silvi, Pineto, Roseto degli abruzzi).

Ascoltando il mare, raggiungo poi la località Foccacesia, qualche km più a sud dove il litorale è più basso e sabbioso, adatto quindi anche a famiglie. E’ qui che si rischia di essere ingannati dalle acque limpide perché se il mio sguardo è proteso solo verso il mare, non riesco a cogliere un particolare essenziale di questa costa, ossia il suo costante rapporto con l’entroterra. Le colline sono alle mie spalle ed è dal promontorio sopra Foccacesia, che l’Abbazia di San Giovanni in Venere, volge il suo sguardo a oriente da centinaia di anni. L’edificio religioso appartiene a una della maggiori abbazie benedettine della regione. Se ne parla già nell’anno 829, ma si ritiene che la chiesa originaria risalga al VI-VII secolo, eretta sulle fondamenta di un tempio pagano, dedicato a Venere. Da ammirare sono soprattutto i portali scolpiti delle facciate esterne, l’insieme delle absidi e i chiostri dell’adiacente convento.

Da lì lo guardo si perde tutt’intorno ad abbracciare una Regione che non è solo terra di transito tra nord e sud, ma merita di essere vissuta ed apprezzata con calma, nella sua semplicità.